Quanto costa (fiscalmente) investire in Italia per un risparmiatore italiano? Rispetto ad altri Paesi europei dove i calcoli sono un po’ più complessi (ad esempio in Spagna e Regno Unito l’aliquota sui guadagni finanziari varia a seconda del reddito ed è progressiva) in Italia è un po’ più semplice. Le aliquote principali sui redditi di natura finanziaria, posseduti al di fuori dell’esercizio di imprese commerciali, sono proporzionali : 12,5% (per i redditi rivenienti dai titoli pubblici ed equiparati) e 20% (per le altre attività finanziarie).
A partire dal 2012, l’articolo 2 del decreto legge 138 del 2011 ha infatti accorpato al 20% le previgenti aliquote del 12,5% e del 27% facendo eccezione per i titoli di Stato italiani (quindi BoT, BTp, CTz e CcTeu), i buoni fruttiferi postali, i titoli di Stati UE o SEE con cui c’è un adeguato scambio di informazioni fiscali (“white list”) e quelli emessi da organismi sovranazionali (come i titoli emessi dal Fondo salva Stati Esm dell’Unione europea), che sono soggetti a una tassazione del 12,5% sia nella parte relativa al capital gain (plus- minusvalenza sul prezzo) che su quella relativa agli interessi che maturano (cedole e scarti di emissione). Sono invece soggetti a tassazione progressiva Irpef i redditi di capitale degli OICVM extra UE, come i dividendi e le plusvalenze rivenienti da partecipazioni qualificate o, se non si tratta di azioni quotate, emesse da società di “black list”
Prima di prendere la calcolatrice ed effettuare le simulazioni un pizzico di teoria, grazie al contributo degli esperti di Giovanni Barbagelata di Frstax.it: è importante che il risparmiatore impari a distinguere i redditi di capitale (gli interessi che maturano su un titolo, conto corrente o l’eventuale dividendo di un’azione) dai redditi diversi (il cosiddetto capital gain, che è la plusvalenza – o minusvalenza – che si ottiene all’atto del realizzo di un titolo).
Bisogna anche sapere che in Italia gli intermediari finanziari (banche, SIM, SGR, società fiduciarie, etc.) fungono per legge (anche per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 9 della legge 97 del 2013) da sostituto d’imposta sulla totalità -salvo limitatissime eccezioni- dei redditi di capitale (interessi, dividendi, etc.) riscossi attraverso il loro intervento, esonerando quindi il contribuente da obblighi dichiarativi; per quanto riguarda i capital gain, è invece possibile optare per il regime “amministrato”, con applicazione dell’imposta da parte degli intermediari con cui il cliente mantiene uno “stabile rapporto” ) oppure quello dichiarativo (in questo caso le plus- minusvalenze andrebbero inserite nel modello Unico della dichiarazione dei redditi, ma senza effetti sull’aliquota da pagare).
È bene ricordare che redditi di capitale e diversi non si compensano tra loro, essendo solo consentita la compensazione delle minusvalenze con le successive plusvalenze. È tuttavia possibile optare, per le gestioni patrimoniali individuali (GPM), per il regime del “risparmio gestito”, dove redditi di capitale e diversi confluiscono in un unico risultato di gestione soggetto all’imposta sostitutiva del 20%.
In ultimo, dal 2013 è entrata in vigore la Tobin Tax che per il 2014 prevede un’aliquota dallo 0,1% sulle operazioni di acquisto di azioni italiane sui mercati regolamentati (0,2% se il mercato non è regolamentato, Otc). Senza dimenticare poi l’imposta di bollo sul dossier titoli (che comprende azioni, obbligazioni, fondi e tutti gli altri investimenti che entrano nel dossier) che dal 2014 è pari allo 0,2% (per le persone fisiche, è stato abolito il minimo, giudicato regressivo, di 34,2 euro che invece resta per giacenze in conto corrente superiori ai 5mila euro).
Bene, adesso abbiamo tutti gli strumenti per effettuare una simulazione. Ipotizziamo di investire 20mila euro, e di ripartirli al 50% tra azioni italiane e BTp. Ipotizziamo che acquistiamo 1.000 azioni della società A al prezzo unitario di 10 euro. Il controvalore dell’operazione è 10mila euro. Su questo importo l’intermediario applicherà la  Tobin Tax (0,1%, e quindi10 euro) e le commissioni  (che oscillano dallo 0,1% allo 0,7%). Ipotizzando commissioni di negoziazione pari a 0,2% dobbiamo aggiungere 20 euro. Il calcolo delle commissioni è importante perché serve per determinare il prezzo di carico (o fiscale) su cui si calcolerà l’imposta sull’eventuale capital gain. Quindi, il nostro prezzo di carico sarà di 10,020 euro. Ipotizziamo di vendere successivamente le nostre 1.000 azioni al prezzo di 12 euro l’una ricavando quindi 12mila euro. A questo importo però dobbiamo detrarre le commissioni di vendita, nell’ipotesi sempre 0,2%, quindi 24 euro). Quindi l’incasso al netto delle commissioni è di 11.976 euro. L’imposta sul capital gain si calcolerà sulla differenza tra 11.976 e 10.020, quindi su 1956 euro. Su questa cifra sarà applicata dall’intermediario (in caso di opzione per il regime amministrato) l’imposta sostitutiva del 20%, pari a 391 euro. Se invece restiamo in possesso delle azioni e nel frattempo viene distribuito un dividendo (nell’ipotesi del 5%) otteniamo un dividendo lordo di 600 euro (il 5% di 12.000) su cui l’intermediario aderente al sistema Monte Titoli applicherà l’imposta sostitutiva del  20%, pari a 120 euro.
Trattandosi di azioni bisogna considerare anche  la Tobin Tax, che non incide però sul prezzo di carico fiscale. La Tobin tax si calcola sul saldo netto a fine giornata relativo allo stesso strumento finanziario (ad esempio se si acquistano prima 800 azioni e poi se ne vendono 200, la tassa sarà calcolata su 600 azioni, così come se poi se nello stesso giorno si rivende tutto il pacchetto precedentemente acquistato non si pagherà alcuna tassa). L'imposta relativa alle transazioni concluse in ciascun mese deve essere versata mensilmente, entro il 16° giorno del mese successivo. Nell’esempio ammonterà a 10 euro, lo 0,1% dell’investimento iniziale di 10.000 euro.
Chiuso il capitolo azioni, passiamo ai titoli di Stato. Ipotizziamo che acquistiamo BTp a 3 anni all’asta (quindi esenti da commissioni) sottoscritti però sotto la pari (98) con cedola annua del 3%. Sulle cedole che maturano via via pagheremo il 12,5% di imposta sostitutiva. Se teniamo il Btp fino a scadenza, in sede di  rimborso alla pari (100), l’imposta sostitutiva sarà altresì applicata sulloscarto di emissione di 2 euro. Il discorso si complica se acquistiamo titoli di Stato sul mercato secondario(titoli già emessi e acquistati nel corso della loro durata ). Supponiamo di acquistare un titolo di Stato con cedola annua del 3% emesso sotto la pari a 95 con una durata di 3 anni (1095 giorni) e che a scadenza rimborserà 100. Ipotizziamo di acquistare nominali 10.000 euro al prezzo di mercato di 91 pagando commissioni pari a 8 euro, 300 giorni dopo l’emissione. Anche in questo caso, come per le azioni, dobbiamo calcolare il prezzo fiscale (su cui calcolare il capital gain). Per farlo bisogna aggiungere le commissioni e sottrarre dal costo di acquisto i redditi di capitale (scarto d’emissione e rateo cedola) maturati alla data dell’operazione ragguagliati ai giorni compresi fra la data di acquisto e scadenza (8*300/1095, quindi 2,19 nel caso specifico). Nel nostro esempio avremo quindi un prezzo medio fiscale di aquisto così determinato (91*10000/100+8)/10000*100 – 2,19. Quindi 88,89.
Ipotizzando di mantenere il titolo fino alla scadenza, con rimborso pari a 100, il capital gain sarà pari alla differenza tra il prezzo fiscale di rimborso (prezzo di rimborso 100 – 5 aggio) e il prezzo fiscale di acquisto (88,89). Otterremo una plusvalenza di 6,11. Su tale plusvalenza la normativa fiscale prevede la tassazione del 12,5% (trattandosi di un titolo di Stato) che, nell’esempio sarà pari a 122 euro ((6,11*20%)/10000/100) .